Le finestre sul giardino

N

elle prime tre classi delle elementari, vedevamo il passare delle stagioni fuori dalla finestra che si affacciavano sul giardino dell’ edificio.

Di inverno le piante spoglie sembravano scheletri con i rami piegati e solcati come le mani di un vecchio; quando nevicava era come se un velo da sposa si posasse su di loro.

Appena il sole della primavera spiava dietro le nuvole e si faceva strada, il giardino riviveva: le foglie verdi cominciavano a spuntare, l’erbetta verde brillante ricominciava a crescere dal terreno scuro.

D’estate maturavano i frutti ma noi non potevamo vederli, perché eravamo in vacanza.

A settembre, quando ritornavamo a scuola vedevamo crescere i grappoli dell’uva con chicchi maturi mentre le altre piante cominciavano a perdere le foglie ormai tinte coi colori dell’autunno, le folate di vento le facevano volteggiare in cielo prima di farle cadere a terra.

Cosi ai piedi degli alberi si formavano letti di foglie. Purtroppo nelle ultime due classi abbiamo lasciato la nostra aula; da lì riuscivamo soltanto a distinguere l’inverno quando tutto si imbiancava.

 

                                                                         Chiara Rimondi

Il primo giorno di scuola

 

 

E

ntrati tutti in classe, la maestra ci ha detto di tirare fuori quaderno e matite e ha iniziato a scrivere la prima lettera dell’alfabeto alla lavagna.

Noi l’abbiamo guardata quasi spaventati senza capire cosa voleva  significare.

Il problema era che non sapevamo tenere in mano la matita.

Superato questo ostacolo ci siamo trovati sempre bene con lei perché oltre che per l’impegno e l’attenzione poi venivamo ricompensati con bei dieci ricamati secondo la stagione: quando era natale con le foglie di agrifoglio o con gli sci, pronti per essere colorati.

Noi tenevamo molto a prendere il bel voto, perché si creava una “competizione” di bravura che ci stimolava molto.

Anche per le feste oltre al nostro mitico maestro del pomeriggio le è sempre piaciuto farci costruire dei bouquet di fiori, centri tavola natalizi con candele e tante altre cose.

Non vedevamo l’ora di essere in prossimità delle feste.

    Chiara Rimondi

 

Il mio grande maestro

 

 

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l mio maestro delle elementari si chiamava e si chiama Raimondo: un mito per me che ammiro ancora oggi, molto; una persona dolce, educatissima, a cui piacciono davvero molto i bambini e per questo ha scelto di stare con loro la maggior parte del suo tempo; facendo l'educatore; al pomeriggio sta con loro da quando finiscono le lezioni fino alle 5, quando si esce.

Con lui ho vissuto cinque anni indimenticabili, ho imparato le regole che servono per stare insieme alle altre persone e che mia madre e mio padre non mi hanno insegnato o magari hanno preferito che lo facesse lui nel modo più corretto. Per me lui era il maestro più bravo del corridoio delle elementari, il più disponibile, simpatico e paziente soprattutto, anche con gli elementi che nella classe disturbavano. Pensavo che gli sarebbero spuntate l'aureola e le ali. Raimondo era molto creativo, perché a ogni festa si inventava un cartellone, il regalino da portare a casa ai genitori fatto da noi, l' addobbo per il corridoio e le finestre! Se tu non stendevi sul disegno il colore della matita con la tecnica che chiedeva (la migliore!) te lo faceva rifare, senza fare tante scenate.

Scherzavamo e giocavamo sempre con lui, ci ha fatto imparare un gioco bellissimo che io non conoscevo: "Guardia e ladri". Dovevi raccogliere le chiavi in terra senza farti sorprendere mentre le tenevi in mano, dal bimbo che era bendato e che voleva poi arrestarti; e dovevi infine riportarle dove eri partito. Poi si faceva scambio: chi la guardia diventava ladro e chi ladro la guardia e veniva bendato. Quando c'era freddo o c'era la neve, Raimondo ci faceva fare" attività libera " in classe al calduccio, malgrado noi volessimo uscire fuori a giocare con la neve.

Ci ha insegnato un buon metodo di studio che ci permetteva di immagazzinare ogni cosa con facilità, anche l'inglese.

Mi sono divertita davvero tanto con lui, non potrò scordarlo mai!                                                                          

Lucia Altieri

 

La mia compagna di banco

 

 

 

Parma, 14 Settembre 1993

 

E

ra il primo giorno di scuola elementare. Ero appena entrata in classe e molti già si erano sistemati nei banchi. C’era un posto libero in prima fila e io mi infilai lì. C’era una bambina che piangeva, cosa che a me non passava neanche per la testa in quel momento, anzi ero piuttosto tranquilla e a mio agio. Dopo poco arrivò una bambina e si sedette di fianco a me. Sembrava abbastanza riservata e silenziosa.

Pochi minuti e anche le maestre entrarono in scena, presentandosi; così, a poco a poco, i genitori affluivano verso la porta movendo la mano in segno di “ciao” al proprio bambino.

In poco tempo ci trovammo soli, noi e le maestre.

Io non conoscevo nessuno.

Di quella mattina ricordo soltanto che io e quella bambina eravamo per mano per andare a pranzo quando sua mamma venne a prenderla.

Al pomeriggio, giocando, mi scontrai con una ragazzina della 1a B di nome Savina: mi ero tutta sporcata i jeans rosa che la mamma mi aveva fatto mettere, ma che io odiavo.

Da quel giorno io e la mia vicina di banco diventammo inseparabili e lo siamo tuttora.

Francesca Gualdi

 

La vita  in  convitto

   

I

o sono Giovanni e vi voglio raccontare la mia vita in convitto, perché io ci vivo da tanti anni. Vivere qui non è molto difficile, perché basta abituarsi; poi ti diverti  perché ci sono molti ragazzi con i quali ti puoi svagare e così farti nuove amicizie; hai tante opportunità che altrimenti non avresti. Cerco di convincermi che la vita qui e meglio di quella fuori, anche se penso che la mamma la vorremmo avere sempre vicino. Questa esperienza poi ti aiuta ad autogestirti, così da grande, quando sarai solo, non ti troverai in difficoltà.

La mattina ti svegli alle sei e cinquanta e devi essere vestito entro le sette e dieci, quando tutti in fila ( magari !) si scende a colazione.

Dopo la colazione in varie  occupazioni  si attendono le sette  e cinquanta, perché suona la campana e dobbiamo andare a scuola, per sfortuna.

Dalle otto fino all'una  c'è scuola;  per me, questo è un momento molto importante  per tanti motivi: la scuola è un obbligo, ma diventa anche un motivo di stimolo per la studio così poi, da grande, non mi troverò in difficoltà; coltivo le mie amicizie e anche il rapporto con gli insegnanti che mi danno la forza, la stima e la fiducia per crescere.

Poi, finita la scuola, c'è il pranzo; andiamo insieme in fila fino al refettorio medie e superiori; non ci incontriamo  con i bambini delle elementari perché hanno una sala tutta per loro. Dopo aver mangiato si va fuori a giocare fino alle  quattordici e trenta, poi in classe a fare i compiti (non tutti !) per il giorno dopo fino alle diciassette. A quell'ora, noi convittori, con il prof. ritorniamo in squadra, mentre i semiconvittori vanno a casa; impegnati nei compiti non finiti, nei giochi del calcetto  o del biliardino si aspettano le diciannove e quindici, ora della cena.

Dopo questo andiamo in palestra, poi ci ritiriamo nelle camere.

 

                                       Vi saluto

il vostro Giovanni M. (3A) 

 

 

 

In giro per corridoi e cortili

 

7 ottobre 1999

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on la macchina fotografica al collo, scendiamo le scale, percorriamo il corridoio in silenzio con addosso gli occhi attenti e vigili dei quadri appesi: io sono “nuova”, non so bene a chi si riferiscono, forse a persone importanti che sono state all’ interno del Convitto, ma ne saprò di più quando avrò studiato la storia del Maria Luigia. La prof. Cagnoli ci dice cosa è meglio fotografare e noi subito seguiamo i suoi consigli.

Click clack… macchine fotografiche rubano qualche angolo. Scattata la foto di gruppo, ci dirigiamo verso i due cortili esterni: quello d’ entrata e quello di gioco; fotografiamo alberi, fontane, pali e ancora alberi, il cortile delle magnolie, il pozzo, una scritta in latino, il vecchio orologio…

 

Krizia Montefusco

 

Tre ricordi delle elementari

 al Maria Luigia

 

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o sono entrato al Maria Luigia a cinque anni, ci sono tuttora, ma non ho tantissimi ricordi. Ho fatto l’esperienza delle tre maestre e forse per questo non mi sono affezionato particolarmente a nessuna, anche se la mia preferita è la maestra di matematica e musica, materia in cui mi trovo ancora a mio agio.

 Il primo ricordo importante non è di un fatto ma di un atteggiamento: desiderare di essere preso in braccio dalle maestre. La maestra che esaudiva questo mio desiderio nel modo migliore era la professoressa di inglese, la quale mi piaceva anche molto: era gentile e capace di insegnare ai bambini piccoli; inoltre mi piacevano i suoi capelli lisci e mesciati. Ho bei ricordi della maestra di musica che per prima ci ha introdotto nella musica classica, facendoci ascoltare dei dischi su Bach, Beethoven, Verdi, Mozart …e ci parlava spesso del suo cane.

Mi è rimasto impresso di come ci parlava di lui, di come lo descriveva nei minimi particolari. Purtroppo adesso è morto, e l’ha sostituito con un altro cane della stessa razza, di nome Ercole.

Ricordo con piacere le mini – olimpiadi, che facemmo in terza elementare, io partecipai a tre giochi: il lancio del peso, il salto in lungo e il tiro alla fune. Mi divertii soprattutto nel tiro alla fune a cui partecipai insieme a Francesco Pelosio ed altri. Io ero in fondo; ci preparammo intingendo le mani nel talco affinché la corda non ci scivolasse di mano, poi iniziammo la gara e vincemmo contro i nostri coetanei.

La sconfitta venne contro una quinta, però fu una sconfitta onorevole perché gli altri erano molto più grandi di noi.

Nel complesso non ho molti ricordi ma non so a cosa è dovuto.

Forse la mia memoria è debole, o forse non sono molto attaccato alla scuola. Forse ricorderò domani o fra venti anni; ora i tempi della scuola elementare sono troppo vicini.

Giovanni